Mi trovavo in quel di Shinjuku, quartiere centrale di Tokyo, mentre passeggiavo lungo un marciapiede. La strada era piena di negozi, ma il mio sguardo ricadde improvvisamente su una targhetta appesa fuori da un condominio: "Il Bacaro". Avevo letto bene?
Mi avvicinai: quel nome richiamava la mia attenzione più di ogni altra cosa nel circondario. La voglia di uno spritz all'Aperol nel cuore del Giappone mi intrigò al punto da spingermi all'avanscoperta nel secondo piano interrato di quel palazzone.
Appena sceso dall'ascensore, mi apparve davanti un grande murale che richiamava più o meno la fondamenta dietro chiesa di San Felice in Strada Nuova, con l'ingresso dell'osteria Vini Da Gigio, e un bel po' di sedie poste lì fuori.
La scena era tutto tranne che turistica e stereotipata, e alla sua sinistra ecco l'ingresso, con una grande insegna che fugava ogni mio dubbio: "Il Bacaro".
Entrai, e la prima cosa che feci fu chiedere se qualcuno parlasse veneziano, italiano, per lo meno inglese. Nulla. Soltanto giapponese stretto.
La situazione era surreale, perché ogni cosa era stata ricreata nel modo giusto da farmi sentire a casa: le pentole sul soffitto, le lavagnette con i prezzi, era addirittura stato allestito un bancone di cicheti, ma nessuno era in grado di comunicare con me e fugare i miei dubbi, le mie perplessità.
Perché quel posto esisteva? Perché "Il Bacaro" in pieno centro a Tokyo?
Di chi era stata l'idea? Al momento non ci pensai e provai comunque ad ordinare nella lingua di Albione: "two spritzes with aperol, please".
Sì, il baccalà mantecato in Giappone.
Come furono? Devo dire la verità: ogni passo della preparazione era stato eseguito con cura e in maniera fedele alla tradizione. Avrei avuto qualcosa da ridire soltanto riguardo la scelta degli ingredienti: la polpettina non conteneva cipolla nostrana bensì una sorta di porro, che donava alla pietanza un retrogusto da involtino primavera.
Ma su questo possiamo tranquillamente soprassedere: il Mercato di Rialto dove reperire le materie prime originali era forse un tantino distante dal quartiere di Shinjuku.
Fortunatamente venne in mio aiuto una ragazza del posto che in quel momento si trovava a pranzare in un tavolo vicino (l'unica all'interno del locale in grado di parlare l'inglese), offrendosi a farmi da interprete con il ragazzo che si trovava dietro al bancone che mi raccontò tutta la verità.
In pratica, il proprietario del locale è un giovane giapponese che ha vissuto per alcuni anni a Venezia, lavorando presso "Il Mascaron" in Calle Lunga Santa Maria Formosa e imparando a cucinare da Gigi, oste veneziano che qui ha raggiunto lo status di celebrità.
Sue sono le sue foto sulle pareti, in particolare alcune che lo ritraggono proprio ne "Il Bacaro" di Shinjuku come ospite d'onore.
Il banconiere estrasse alcuni libri sulle osterie veneziane che custodiva gelosamente, e quando il baffuto ristoratore lagunare fece capolino, il giapponese ripeté il suo nome: "Ji-ji! Ji-ji!", con un'emozione mista ad orgoglio.
Diedi uno sguardo al menù mentre lo stereo del locale diffondeva canzoni degli 883.
Il piatto era ricco di salsa di pomodoro, di scampi interi e a pezzetti, tutto preparato secondo la tradizione. Devo confessare che a Venezia ne ho mangiate di peggiori.
Per secondo ordinai una frittura mista, anch'essa molto ricca, e con un'infarinatura croccante e piuttosto asciutta che ricopriva pesci e crostacei del Pacifico.
Al termine della mangiata, costata una sessantina di euro in due (aperitivo, cicchetti, acqua e coperto inclusi), mi sono soffermato per un ulteriore giro all'interno del locale. Diedi un altro sguardo alle foto appese ai muri che troneggiavano in mezzo a numerose scritte in veneziano realizzate da ospiti e turisti. Ed ecco apparire scatti in bianco e nero con tanto di dedica, provenienti da diverse osterie veneziane, prima tra tutti "Alla Vedova" in Strada Nuova.
E poi "Sora Al Ponte" di Campo delle Becarie a Rialto, che nel frattempo ha chiuso i battenti per lasciare spazio ad un ristorante a gestione cinese.
Ho ripreso l'ascensore e sono di nuovo riapparso a Shinjuku, con in me una strana sensazione: ero in un paese straniero, circondato da una cultura lontanissima dalla mia, ma con la pancia piena di cose di casa. Tanto che gli indaffarati businessman con la valigetta, le scritte al neon e le ragazzine nipponiche che tornavano da scuola avrebbero potuto benissimo essere gondolieri, insegne di bacari e studentesse dell'Algarotti.
Ed io essere in Strada Nuova.
Nino Baldan
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Vado a provarlo in settimana!
RispondiEliminaOvviamente Matteo aspetto qui le tue impressioni :)
EliminaBuona continuazione di soggiorno a Tokyo!
Una storia straordinaria! Ma il proprietario del locale non parla né italiano né inglese? Come lavorava in un ristorante a Venezia ed è riuscito a imparare la cucina veneziana?
RispondiEliminaIl proprietario non lo incontrammo perché in quel momento si trovava fuori città...ma di sicuro avrà conosciuto anche qualche parola di dialetto veneziano! :)
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