Quest'anima ha a che fare soprattutto con il commercio.
E mentre nella zona turistica di Sultanahmet e in quella giovane di Beyoglu si fanno prepotentemente spazio le grandi catene internazionali, con prezzi fissi, esposizione e personale addetto alla vendita del tutto simile ad altre città come Parigi, Londra, Berlino, in altre zone permane ancora un tipo di attività commerciale ancorata al passato, riscontrabile soprattutto all'interno del cosiddetto Gran Bazar d'Istanbul (o in lingua locale Capali çarsi, letteralmente "mercato coperto") e zone limitrofe.
Il video realizzato da me
Osservando la sua ripetuta struttura ad archi, completata nel 1461 dal sultano Maometto II, è impossibile non richiamare alla nostra mente i portici del mercato di Rialto di Venezia, che nel loro corrispettivo turco si moltiplicano in maniera psichedelica lungo in una decina di file comunicanti, dando vita ad un brulicante labirinto nel quale è estremamente facile perdere qualunque punto di riferimento.
Esattamente come a Rialto, sono presenti sia botteghe che bancarelle, ma qui ad Istanbul la maggioranza di esse vende merce contraffatta. Come ho già anticipato nell'articolo "10 stranezze dalla Turchia", la vendita del falso è ufficialmente illegale, ma tollerata per gli introiti che porta nel settore del turismo, e non essendoci l'Unione Europea di mezzo, le maglie dei controlli sono ben più larghe, per non dire inesistenti.
A questo tipo di commercio aderiscono purtroppo anche numerosi negozi, solitamente a gestione famigliare, del centro storico della città.
Questa era la situazione in un negozio del centro
E' decisamente squallido trovarsi ogni due passi davanti ad un'esposizione di borsette Gucci, portafogli Chanel, addirittura manichini che indossano giubbotti Louis Vuitton, una situazione che nel mondo occidentale è riscontrabile solo sulle lenzuola degli abusivi pronti a darsela a gambe al primo arrivo delle forze dell'ordine.
Qui no, qui va tutto bene.
Due esposizioni piuttosto "originali" al Gran Bazar di Istanbul
Non esiste neppure una norma che imponga ai commercianti di esporre i cartellini con i prezzi, e diviene problematico conoscere il costo anche degli articoli di artigianato locale che un turista volesse portarsi a casa come souvenir. E' quindi necessario interpellare il venditore, che inizierà ad adulare il potenziale compratore in maniera piuttosto invadente, con la netta sensazione che il prezzo venga fatto al momento a seconda della nazionalità e del grado di "fesseria" riscontrato nella faccia di chi gli si pone davanti.
Ho lavorato per anni nel commercio, sia all'interno di negozi che in strada a contatto con i turisti, e ho sempre considerato la contrattazione come una forma di maleducazione, di mancanza di rispetto nei confronti del negoziante, che avrà pure i suoi motivi per stabilire che l'oggetto X costi X: il prezzo d'acquisto, le tasse, l'affitto del negozio, il costo dell'energia elettrica. Offrirgli la metà per me ha sempre avuto il significato di sbeffeggiare i suoi calcoli, la sua attività, la sua persona. Invece qui è tutto un tira e molla, una pacca sulla spalla, una finta di non accettare; certo, è parte integrante della cultura mediorientale, proveniente dai tempi in cui i commercianti si incontravano per contrattare i prezzi delle loro merci, ma qui non ci sono spezie, non c'è artigianato: è un triste spaccio di borsette e cinture contraffatte, con metodi e modalità da vicolo dietro alla stazione.
E sentirsi dire "150 lire", che diventano improvvisamente "130!" appena io volto le spalle, significa che se avessi detto sì al primo acchito, mi avresti bellamente fregato.
Louis Bidon…ehm…"Vuitton"
Fatto sta che la mia ricerca di merceologia turca si è limitata all'acquisto di qualche tazza nell'unico posto del Bazar dove i prezzi erano esposti, e di due sciarpe in altrettante botteghe di stampo occidentale del centro.
Perché non mi va di non avere la più pallida idea di quanto possa costare un articolo, e per saperlo io debba essere costretto ad immergermi in una lunga conversazione con qualcuno che inizierà a tirar fuori altra merce, a propormi acquisti multipli, a toccarmi, a violare in qualche modo la mia sfera personale. Senza contare gli schiamazzi di tutti i venditori vicini, pronti a chiamarmi, tirando ad indovinare la mia nazionalità, ed esprimendo gioia ogni volta avessero intuito fossi italiano, perché, si sa, "tanta gente viene dall'Italia per comprare i nostri falsi. Agli Italiani piace vestire di marca ma spendere poco".
E' questa la doppia faccia della Turchia, con le sue infrastrutture in fase di ammodernamento, i suoi giovani che viaggiano all'estero e che sanno padroneggiare le più attuali tecnologie, che vuole entrare a tutti gli effetti nell'Unione Europea, ma che da un altro verso rimane ancorata alle sue "regole", retaggio di tempi passati, ma che di fatto, in un occidente legato al rispetto della proprietà intellettuale, ai diritti del consumatore e alle normative sul commercio, regole non sono.
Nino Baldan
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