Visto l'avvicinarsi del Natale, ho deciso di fare un regalo a tutti i lettori di questo blog dando vita alla sesta edizione della rubrica in assoluto più seguita, vale a dire "le 12 parole che le nonne sbagliavano"! Anche oggi, una dozzina di strafalcioni linguistici di parole italiane e straniere compiute dalle mie nonne madrelingue veneziane!
Siete pronti?...
61) "Pàrraco"
immagine da migliorblog.it
La parola pàrraco nella mia mente ha sempre richiamato l'immagine di un volatile tropicale, simile ad un tucano o un pappagallo, ma in realtà per le nonne era semplicemente chi diceva la messa.
Anche in questo caso, la mancanza dell'utilizzo scritto della lingua ha creato una sorta di imitazione dei suoni per sentito dire, ed il prete di quartiere è diventato il pàrraco.
"Tesoro, vai a messa, se no il pàrraco si arrabbia!".
62) "Sclarotica"
immagine da tgischia.it
Sclarotica, inteso come abbreviazione di arterio-sclarotica, andava ad indicare una signora affetta da demenza senile e/o morbo di Alzheimer. Spesso assumeva anche la forma di aggettivo, per definire se qualcuna fosse più o meno sclarotica di un'altra, in una sorta di battaglia tra nonnine su chi fosse la più giovane ed arzilla.
"Mi sono dimenticata, sono proprio sclarotica".
63) "Calcario"
immagine da faidatemania.pianetadonna.it
Il calcario era uno degli incubi delle mie nonne, e spesso la causa per la quale gli elettrodomestici non funzionavano più. Ogni volta che c'era un problema con la lavatrice, il colpevole era sempre lui: il calcario. Inoltre, il calcario infestava le stoviglie, i rubinetti, il getto della doccia: era necessario quindi provvedere e comprare subito un anti-calcario.
Per un'amica di famiglia, invece, si trattava di càlcare, con un nome che nella mia fantasia richiamava quasi un eroe greco. Con la spada tutta incrostata.
64) "La DIA bete"
immagine da meteoweb.eu
Durante la mia infanzia, ho sempre sentito chiamare il diabete con l'articolo femminile.
Forse perché più orecchiabile, più facile da pronunciare, anche se riflettendoci sono arrivato a formulare l'inquietante teoria che le nonne intendessero la parola "diabete" come due termini separati, "DIA" e "bete", e declinassero l'articolo con il primo.
"DIA" avrebbe potuto essere un'ignota sigla ambulatoriale da esame del sangue, e "bete" un aggettivo ad essa correlata, a significare qualcosa di erroneo, di fuori dalla norma.
"Non posso mangiare la torta amore, ho la DIA bete".
La conferma di questo refuso viene dal fatto che spesso le nonne scherzassero sull'improbabile assonanza tra la malattia e la parola "zia", che all'epoca mi suonava strana ma che ora rivela dei collegamenti logici e verbali piuttosto sinistri.
65) "Autoparlante"
immagine da igtek.it
L'autoparlante probabilmente era chiamato così per la convinzione che parlasse in automatico, anche se in effetti c'era sempre una persona che gli "prestava la voce" in tempo reale. Forse il concetto era il seguente: emettendo suoni ad alto volume, il dispositivo permetteva alle persone di risparmiare fiato: un autoparlante appunto. Fatto sta che per tutta la mia infanzia ho sempre avuto il dubbio su come questa parola andasse scritta, per la felicità delle mie insegnanti di italiano.
66) "Sugo di frutta"
immagine da thecolouredsauce.com
Il sugo di frutta dava più l'idea di un condimento per la pasta, qualcosa di denso e sostanzioso piuttosto che qualcosa di dissetante da bere a merenda.
E per le nonne, spesso il termine indicava il contenitore tetrapak più che la bevanda al suo interno. "Hai buttato via il sugo di frutta vuoto?".
Una parte per il tutto: un'involontaria sineddoche.
67) "Compùte"
immagine da tweetblog.blogosfere.it
Scritto come si legge, il compùte era un arcano macchinario dotato di una piccola televisione e tanti bottoni, che i giovani utilizzavano misteriosamente per compiere qualsiasi tipo di pratica, dalla prenotazione ospedaliera alla gestione delle giacenze dei negozi.
Il funzionamento dei compùte era qualcosa di veramente oscuro e fantascientifico, tanto da far pensare alle nonne che fosse dotato di intelligenza propria, e svolgesse le sue funzioni in maniera automatica ed indipendente. "Tanto desso i fa tutto col compùte".
68) "Bebisite"
immagine da thestar.com
Quando le nonne mi parlavano di un bimbo a casa con la bebisite, la mia immaginazione era portata a farmi pensare a chissà quale grave malattia, quando in realtà non si trattava altro che della tata, altrimenti chiamata la signorina, con tono fortemente dispregiativo.
In una generazione ancora fortemente legata ai valori famigliari, la bebisite era vista come un ripiego alla pigrizia e all'irresponsabilità dei genitori, che avrebbero dovuto badare personalmente alla cura dei propri figli. E tutte le signorine erano delle svampite ragazzine inesperte, in qualunque campo fossero impiegate, dall'educazione fino ai mass media, come nel caso delle annunciatrici femminili delle previsioni del tempo (delle quali ho parlato nel punto numero 51 della puntata precedente).
69) "Ussàn"
immagine da panoramio.com
No, non sto parlando di un antico commerciante arabo, parente del mercatino della quinta parte, ma del nome che le nonne davano all'appena inaugurato centro commerciale di Zelarino, sicura corruzione dell'espressione "vado da Auchan", che ha fatto perdere la "A" al marchio francese trasformandolo magicamente in Ussàn.
Negli anni '90 esisteva un autobus-navetta che conduceva i pensionati da Venezia a Ussàn, poi prontamente soppresso per il semplice fatto che i nonni non compravano niente, ma utilizzavano il mall come luogo di ritrovo per la terza età, e di riparo durante i freddi pomeriggi invernali.
La triolina era una di quelle sostanze misteriose e proibite che, nella sua bottiglia di vetro, veniva sempre posta in armadietti chiusi, ad almeno un metro e ottanta di altezza, e mi veniva fatta vedere il meno possibile, con il timore che io potessi venirne in contatto ed utilizzarla in modo scorretto. Come quella volta in cui mi spruzzai lo Stira e Ammira direttamente in un occhio.
Esisteva nelle nonne una probabile convinzione che la triolina fosse un prodotto a base di olio, da qui il nome.
71) "Michael Gesso"
immagine da laweekly.com
Uno dei volti iconici degli anni '80, protagonista di concerti, video, apparizioni e spot pubblicitari, Michael Gesso era continuamente criticato dalle mie nonne, per il suo atteggiamento sfacciato e volgare, soprattutto per la mossa di portare la sua mano sui genitali. L'accostamento con la popstar afroamericana era diventato un classico rimprovero per i nipotini ogni qualvolta venissero sorpresi a sfiorare le proprie parti intime: "Cava via la mano, amore che mi pari Michael Gesso". Ed io, indignato di essere accostato ad un personaggio ambiguo del quale non conoscevo l'identità sessuale ("le 12 cose che pensavo quando ero piccolo", punto 9), prontamente obbedivo.
72) "Soposta"
Concludo l'appuntamento di oggi con uno degli incubi della mia infanzia: la soposta.
Insieme alle punture, la soposta era quel tipo di trattamento che mi provocava ansia e terrore, sia per l'indubbio fastidio fisico che la sua applicazione comportava, sia per la vergogna intrinseca di mostrarsi nudi e vulnerabili davanti agli occhi della nonna che amorevolmente si prestava per inserirla.
"Amore, cosa vuoi che sia? E' solo una sopostina!"
Nino Baldan
(immagine del titolo da gopixpic.com)
leggi la settima parte
Gli altri articoli sulle 12 cose
Le 12 parole che le nonne sbagliavano (quinta parte) (06/12/2014)
Le 12 parole che le nonne sbagliavano (quarta parte) (29/11/2014)
Le 12 parole che le nonne sbagliavano (terza parte) (18/11/2014)
Le 12 parole che le nonne sbagliavano (seconda parte) (15/11/2014)
Le 12 parole che le nonne sbagliavano (prima parte) (12/11/2014)
Le 12 cose che pensavo quando andavo alle medie (06/11/2014)
Le 12 cose che pensato quando ero piccolo (seconda parte) (02/11/2014)
Le 12 cose che pensavo quando ero piccolo (prima parte) (26/10/2014)
immagine da albanesi.it
Concludo l'appuntamento di oggi con uno degli incubi della mia infanzia: la soposta.
Insieme alle punture, la soposta era quel tipo di trattamento che mi provocava ansia e terrore, sia per l'indubbio fastidio fisico che la sua applicazione comportava, sia per la vergogna intrinseca di mostrarsi nudi e vulnerabili davanti agli occhi della nonna che amorevolmente si prestava per inserirla.
"Amore, cosa vuoi che sia? E' solo una sopostina!"
Nino Baldan
(immagine del titolo da gopixpic.com)
leggi la settima parte
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Le 12 parole che le nonne sbagliavano (terza parte) (18/11/2014)
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