Una passione che mi ha accompagnato durante il periodo delle medie e della quale non mi scorderò facilmente: quella relativa alle carte (o schede) telefoniche.
Ripercorriamo insieme questa mania che nei primi anni '90 contagiò un po' tutti.
immagine da it.wikimedia.org
Questo per limitare le monetine presenti nei dispositivi (e di conseguenza i tentativi di scasso), oltre che per consentire all'utente una maggior praticità: si comprava una carta, si strappava l'angolino, e telefonata dopo telefonata si vedeva il credito scalare.
I tagli esistenti erano da 5.000 lire, da 10.000 lire, e successivamente da 15.000 lire, da 2.000 lire e in alcuni casi anche da 1.000 lire.
I tagli esistenti erano da 5.000 lire, da 10.000 lire, e successivamente da 15.000 lire, da 2.000 lire e in alcuni casi anche da 1.000 lire.
Mi trovai nel 1994 a frequentare la prima media in un istituto nuovo dove non conoscevo nessuno. Provai a fare amicizia, e scoprii che il passatempo preferito dai miei compagni era andare in cerca di carte: interi pomeriggi a girare per Venezia spostandosi da una cabina all'altra, nella speranza di trovare qualche scheda abbandonata sull'apparecchio, per terra o addirittura nel vicino bidone delle immondizie.
L'obiettivo? Sfoggiare agli amici una collezione più numerosa, magari composta da pezzi rari che nessuno aveva mai visto. Ognuno agiva per sé, e ognuno aveva le proprie tecniche: chi attendeva paziente che la signora finisse di telefonare, chiedendole con aria questuante "scusi, mi lascia la scheda se è terminata?", chi andava alla SIP a guardare nei cestini, chi non aveva paura di inserire entrambe le mani dentro i bidoni della Stazione, destreggiandosi tra bucce di banana, fazzoletti sporchi e avanzi di cibo.
Ad un certo punto la neonata Telecom affiancò ad ogni Rotor un contenitore per le schede usate, e questa fu per noi marmocchi un'autentica manna dal cielo. Ne esistevano di due tipi: uno a colonna, arancione, con lo sportello sul fondo, ed uno a cassetta, grigio, dalle dimensioni più contenute; entrambi erano chiusi a chiave, ma avevamo trovato un ingegnoso sistema per aggirare le serrature. Chi andava sotto con le mani, chi faceva leva con una scheda, altri si erano attrezzati con veri e propri arnesi da scasso - e questo avveniva di pomeriggio, davanti a una calca di gente che aspettava per telefonare. Minorenni intenti ad aprire chissà cosa con ferri, cacciaviti e barre d'acciaio: una scena degna di un paese del terzo mondo.
A volte qualcuno ci chiedeva cosa stessimo facendo, ma noi rispondevamo sempre con educazione e gentilezza. Dopotutto non compievamo nulla di illegale: prendevamo solo qualcosa che gli altri avevano gettato, senza arrecare alcun danno. Facevamo leva fino a che la linguetta che bloccava il fondo non facesse "clic"; e che soddisfazione quando al suono seguiva una cascata di 50/100 schede diverse!
La maggior parte erano sempre e inevitabilmente "scartine", ma ogni tanto saltavano fuori dei pezzi da far strabuzzare gli occhi: schede bilingui dall'Alto Adige o con pubblicità come Emporio Armani, Moulinex, Dizionari Simone.
Possedevo un album con fogli trasparenti suddivisi in taschine: era lì che stivavo la mia collezione; qualche carta la trovavo in pessime condizioni ma, armato di una scatola di pastelli acquarellabili, restauravo ogni graffio fino a farla tornare come nuova.
Tanti negozi che prima trattavano filatelia, numismatica e oggetti d'antiquariato stavano attraversando una seconda giovinezza grazie al vero e proprio boom che si era creato: le vetrine esponevano pezzi da collezione, sia intonsi (con la linguetta ancora attaccata che ne faceva aumentare il valore) che usati, e i relativi prezzi erano scritti a mano su etichette bianche. Ricordo un negozio in Campo delle Becarìe, a fianco del mercato del pesce, le cui vetrinette polverose mostravano addirittura prototipi dei primi anni 80.
Un giorno la BNL indisse a San Marco un'asta di carte per beneficenza. Andai da solo: non volevo diffondere indiscrezioni che mi avrebbero portato nient'altro che concorrenza. Giunsi nella sala e ritrovai un mio compagno di classe: dannazione, era stato informato anche lui. Invece di rilanciare ogni offerta, ci mettemmo d'accordo per alternare gli acquisti e non far lievitare troppo i prezzi.
Con un pubblico composto quasi esclusivamente da bambini e mamme disinformate quel pomeriggio feci affari d'oro; tant'è che con il mio pacchetto di schede appena comprate mi recai in una filatelia vicino al ponte di Coin, ma l'anziano titolare non volle saperne di acquistare nulla. Alle mie spalle apparve una donna il cui figlioletto era in cerca di pezzi che il proprietario non aveva: mi intromisi nel discorso e finii per vendere le mie schede sotto lo sguardo inferocito del gestore che finì per cacciarmi dal negozio in quanto "gli stavo facendo concorrenza in casa sua".
La mia mania per le schede telefoniche durò grossomodo un anno, forse due.
Molte furono buttate, ma quelle che ho recuperato le ho riordinate in un nuovo quadernone, che come un album di vecchie foto tengo lì, a ricordare quand'ero alle medie; quando Venezia era più viva, quando i ragazzini stavano tutto il giorno a inseguire una quotidiana e gratuita caccia al tesoro.
Della mia passione porterò sempre con me alcuni aneddoti: come la leggenda metropolitana secondo la quale, tenendo le schede esaurite a contatto con lo schermo tv, si sarebbero "rimagnetizzate" e quindi ricaricate del credito.
E sì, lo ammetto, ci provai anch'io.
Della mia passione porterò sempre con me alcuni aneddoti: come la leggenda metropolitana secondo la quale, tenendo le schede esaurite a contatto con lo schermo tv, si sarebbero "rimagnetizzate" e quindi ricaricate del credito.
E sì, lo ammetto, ci provai anch'io.
La scheda di Italia '90, all'epoca un cimelio
Nino Baldan
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