Le mia scuola materna negli anni '80 | Nino Baldan - Il Blog

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Topolini, Kombattini, Bim Bum Bam di Nino Baldan

6 aprile 2017

Le mia scuola materna negli anni '80


(Dal mio libro "Gli svegli dell'asilo", Youcanprint, 2016)

Fin dalla più tenera età sono sempre stato affetto da un'inguaribile curiosità di scoprire il mondo che mi circondava, una spinta irrefrenabile che nel corso della primissima infanzia mi ha portato a compiere atti apparentemente sciocchi, ma che alle spalle avevano un ben ponderato desiderio di analisi, e al tempo stesso un'impagabile voglia di scoprire “cosa sarebbe successo se”. Sto parlando di quando, dopo aver osservato incantato una fontana luminosa presente in un parco, provai a ricreare lo stesso effetto in salotto versando dell'acqua sopra una lampada da tavolo, causando l'immediata esplosione della lampadina. O di quando volli addirittura tentare di trasformare la casa in un'originale ambiente acquatico, aprendo tutti i rubinetti, tappando gli scarichi, e disperdendo i flutti in giro per l'abitazione con le mani e con i piedi, al fine di velocizzare l'opera.

Mia madre rincasò, e con estremo sgomento mi vide estasiato mentre, disteso nel mezzo del corridoio, mi godevo un bagno decisamente insolito, osservando l'ambiente domestico che piano piano assumeva delle suggestive sembianze lacustri; l'acqua arrivò persino nell'appartamento della famiglia dirimpettaia, che di primo acchito pensò si fosse rotta la lavatrice. Non avrò avuto che quattro/cinque anni, e ancora ricordo quanto fossi affascinato, anziché spaventato, da tutti quei racconti relativi all'occulto che nonni e genitori di solito evocavano per terrorizzare i bambini: mi trovavo così sotto il tavolo con in mano un pastello a cera, intento a scrivere a caratteri cubitali la parola "DIAVOLO" per vedere se quel mio gesto avesse causato qualche conseguenza; o a passare interi pomeriggi a disegnare teschi, nel tentativo di capire cosa li rendesse così spaventosi, realizzando, attraverso la consultazione di libri di anatomia, che altro non fossero che la struttura ossea che compone la testa dell’uomo.

I miei genitori cercarono di cavalcare questa mia attitudine alla scoperta regalandomi alla tenera età di tre anni una macchina da scrivere, in un'epoca nella quale computer portatili e tablet erano pura fantascienza.

immagine da kijiji.it

Sto parlando del 1986: in poco tempo iniziai a copiare le parole che vedevo su libri e giornali, imparando la connessione tra caratteri e relativi suoni. Per mamma e papà ero divenuto un motivo di soddisfazione: sapevo leggere e scrivere quando la maggior parte dei miei coetanei riusciva a malapena a proferire parola, ma non ero l'unico.
Nella scuola materna nella quale fui iscritto vi erano altri bambini come me. Pochi, certo, ma abbastanza per costituire un piccolo gruppo di amici che ben presto iniziarono a legare, comunicando le proprie scoperte giornaliere, la propria vita quotidiana, creando un minuscolo clan di giovanissimi intellettuali, che trovava non poca fatica ad aprirsi verso una maggioranza di bambini che ancora perdevano le bave, riconoscibili dalla chiazza bagnata perennemente presente sul loro grembiule colorato, e che non facevano altro che piangere ed esprimersi a monosillabi.

Certo, non per tutti le tappe dell'evoluzione avvengono negli stessi momenti, ma era particolarmente curioso aggirarsi, indisturbati, in un ambiente popolato da veri e propri vegetali, che riuscivano a malapena ad afferrare i pennarelli con il pugno chiuso e a creare scarabocchi che neppure rispettavano i margini del foglio, mentre noi, gli svegli dell'asilo, li osservavamo tra il divertito e l'imbarazzato.

immagine da licata.agrigentonotizie.it

Al primo piano della struttura erano presenti tre aule, dove i bambini erano divisi non per età, ma per un criterio mai ufficialmente spiegato, ma che in maniera piuttosto stereotipata, noi svegli avevamo identificato così: la classe azzurra conteneva prevalentemente i figli di papà, tutti gli elementi dotati di genitori la cui professione fosse motivo di vanto; la classe gialla, al contrario, aveva al suo interno bambini borderline, provenienti da situazioni più difficili e disagiate (non a caso tra i suoi banchi militava Giorgio, un vero e proprio bulletto in grembiulino, lo spauracchio dell'intero istituto); mentre la classe verde, la nostra, ospitava alunni nella media. Né abbienti, né morti di fame, ma accomunati (pur non essendo tutti svegli) da un superiore senso di analisi e, forse, di intelligenza.

Dopo non troppo tempo iniziai a legare con un altro bambino della classe verde, un tale Carlos, con il quale condividevo mentalità e interessi; ben presto diventò il mio principale compagno di scorribande. Avendo avuto a che fare soprattutto con individui non ancora completamente in grado di intendere e di volere, la nostra socialità apparve subito piuttosto limitata, finché decidemmo di mettere in atto un'idea decisamente grandiosa e lungimirante, che ci avrebbe permesso di ingannare il tempo durante le lunghissime ore giornaliere da passare all'interno dell'istituto, un'idea chiamata "Monitor". Essendo stati entrambi piuttosto teledipendenti, e conoscendo a menadito regole e meccanismi di decine e decine di quiz diversi, partorimmo un nostro programma televisivo, con tanto di sigla (che cantavamo prima di ogni sessione), manche, bonus, premi e sponsor rigorosamente inventati; non si trattava semplicemente di replicare una trasmissione, sarebbe stato un compito troppo facile e decisamente poco originale: "Monitor" doveva essere un prodotto coniato, sì, dal panorama catodico ottantino, ma con una struttura inedita e nuova di zecca.
Il "copiare" l'avremmo lasciato agli altri: noi, gli svegli dell'asilo, avevamo la capacità di inventare, e l'avremmo usata.


Le regole di "Monitor", sinceramente, non le ricordo: ho in mente soltanto dei fogli contenenti i vari punteggi scritti a matita, che venivano continuamente aggiornati cancellando e riscrivendo, fino ad arrivare all'immancabile rottura della carta. I concorrenti erano selezionati tra i vari bambini, ed erano sottoposti a domande di cultura generale, alle quali già sapevamo non avrebbero saputo rispondere, tranne rare eccezioni, che ci permettevano così di scoprire un altro sveglio dell'asilo che silenziosamente rimaneva celato nella massa. Le sessioni di gioco risultavano così essere a metà tra un quiz televisivo e un moderno provino per entrare a far parte di un reality show, con risposte completamente fuori dal mondo che causavano l'ilarità dei due presentatori. Ricordo come insistetti per far partecipare Sara, una bambina del primo anno particolarmente spaesata e ancora incapace di modulare la parola, con intenti soprattutto goliardici e canzonatori: le chiesi di che colore fosse un pennarello giallo, lei disse "alo" ed ebbe in cambio un "risposta sbagliata!". Lo stesso accadde quando chiamò il grigio "iso": "signorina, siamo spiacenti ma lei è eliminata", e la congedammo cantando la canzoncina finale del programma, mentre lei ci guardava attonita con un filo di bava che le colava sul grembiule colorato. 

"Monitor" aveva spesso un pubblico composto da bambini che spostavano le seggioline per seguire la puntata giornaliera, e fu così che conobbi quella che sarebbe diventata la mia prima fidanzatina, Marzia.
Non era esattamente ancora una sveglia dell'asilo in tutto e per tutto, ma dimostrava interesse e curiosità verso le mie attività, facendomi sperare che in breve tempo sarebbe potuta essere recuperata e far parte dei nostri. In quell'epoca avevo da poco iniziato a cimentarmi nella lettura di Topolino; ecco, se io mi identificavo nel roditore della Disney, lei sarebbe stata la mia Minni: timida, femminile, compagna leale. Marzia era così legata a me che venne persino a trovarmi in ospedale dov'ero ricoverato per un brutto febbrone che mi portò alle convulsioni. 

immagine da digilander.libero.it/blsfontignano

Ma mentre in classe verde godevo di un discreto seguito, nelle altre aule lo status di sveglio dell'asilo non aveva alcuna utilità, anzi, i miei giochi carta-penna-fantasia venivano sbeffeggiati dai figli bavosi degli avvocati della classe azzurra, che ogni giorno sfoggiavano passivamente il nuovo Transformer donato dal paparino, e che durante la ricreazione monopolizzavano l'attenzione dell’intero istituto. E a dirla tutta, ciò mi dava parecchio sui nervi; non tanto per invidia, ma in quanto non riuscivo davvero a capacitarmi come un oggetto prefabbricato, ideato da altri, potesse risvegliare la fantasia più di qualcosa di originale, ideato da noi.

Allo stesso modo, in classe gialla vigeva un altro regolamento, quello della legge del più forte: a comandare era Giorgio, il bullo della scuola materna, che all'intelligenza rispondeva freddamente con pugni allo stomaco. Lui non pensava: si aggirava e colpiva chi gli capitava sotto tiro, non con uno scopo preciso, bensì perché probabilmente abituato dalla famiglia a fare sempre ciò che voleva.
Mentre conducevo “Monitor”, ero solito controllare, attraverso la vetrata che separava le nostre classi, se quel suo caschetto biondo fosse al suo posto, seduto, o se ci fosse stato un tangibile pericolo che avesse potuto raggiungermi, e attuare nei miei confronti qualche sorta di atto di bullismo. Nelle sue rare ma terribili incursioni in classe verde era solito rovesciare penne, matite, e far qualsiasi cosa per dimostrare il suo dominio, probabilmente annoiato di vessare i soliti (poveri) bavosi della classe gialla.

immagine da vivalamamma.tgcom24.it

Insomma, far parte degli svegli dell'asilo garantiva notevoli soddisfazioni, ma spesso ci riservava più di qualche domanda: se ne fosse valsa la pena, e se le nostre capacità analitiche unite alla nostra inguaribile curiosità non fossero state più che altro un ostacolo nel legarsi con le altre persone, che a dirla tutta facevano parte della cosiddetta normalità. Ma il più delle volte non ci facevo caso, sostenuto dall’esiguo ma fedele gruppetto di miei simili, dai miei genitori e da chi mi stava educando. A mia madre fu proposta la cosiddetta "primina", e di farmi passare direttamente in seconda elementare, ma io mi rifiutai: non volevo apparire troppo diverso dagli altri, finendo in pasto a nuovi compagni con i quali non avevo mai avuto possibilità di legare.

Fu da allora che si presentò in me il dubbio tra lasciar viaggiare la mia mente, o invece uniformarmi, nel terrore di non imbattermi più in altri svegli (stavolta delle elementari) ed essere destinato ad una vita solitaria ed emarginata. Non potevo immaginare che, in ogni caso, il mio destino sarebbe stato comunque quello, dovendo ogni giorno limitarmi e appiattirmi per non rischiare il più completo ostracismo dalla società dei miei coetanei.

Nino Baldan

"Gli svegli dell'asilo": la scheda

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1 commento:

  1. Interessante questo estratto! Fortunatamente dalle mie parti non c'era questa rigorosa divisione delle classi. Ma ritrovo anche la mia gioventù nelle tue parole.

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